Conducente bloccato nella sua auto: è violenza privata

12.02.2018

Accostarsi ad un'altra auto, impedendo all'altro conducente di scendere dal mezzo, può configurare il reato di violenza privata. Dalla discussione istauratasi tra i due automobilisti si arriva al procedimento penale.

(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 53978/17; depositata il 30 novembre)

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 53978/17, depositata il 30 novembre.

Il fatto. La vicenda, oggetto delle controversia, inizia dal guidatore di un auto che parcheggiava molto vicino ad un'altra vettura su cui sedeva la "futura" persona offesa. La distanza delle due vetture era tale da non permettere al conducente seduto di scendere dal suo lato, costretto per questo a scendere dal lato passeggero.
A seguito di ciò, veniva istaurato un procedimento penale nei confronti del guidatore accusato di violenza privata ai danni del conducente che non riusciva ad uscire dall'auto. La Corte di Appello di Messina aveva confermato la sentenza di prime cure con cui l'imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato ascrittogli.
Il condannato ricorre in Cassazione lamentando che, nella fattispecie, non si era verificata nessuna violenza privata.

Requisito della violenza. Il ricorrente deduce l'inesistenza del reato sulla base del fatto che lo stesso non aveva parcheggiato la sua vettura, ma si era solo avvicinato alla persona offesa per discutere. Inoltre il ricorrente lamenta in Cassazione di aver ricevuto dalla persona offesa minacce rivolte ai suoi familiari.
La Cassazione ha osservato che per la configurabilità del delitto di violenza privata è requisito della violenza «qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione».
Secondo la Corte non vi è dubbio che dalla ricostruzione delle sentenza impugnata emerga che il ricorrente, posizionandosi molto vicino al lato dell'autista dell'altra vettura, ha costretto la persona offesa a scendere (dal lato passeggero) per affrontare una discussione con il fine di far spostare l'auto.
Infine le deduzioni del ricorrente in merito alle minacce subite sono inammissibili perché formulate per la prima volta nel ricorso e, quindi, non consentite ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p..
In conclusione la Suprema Corte, osservando che il ricorrente con la sua condotta «ha pesantemente condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento delle persona offesa», dichiara inammissibile il ricorso.

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